"Occorre recuperare
un significato morale alto e non solamente biologico"
Figli
in provetta quali limiti?
Di Giovanni Pellegri
D: Quando si parla di embrioni siamo abituati a sentire i pareri degli
scienziati che ci mostrano le nuove possibilità di intervento sulla vita
umana nascente. Lei però è un filosofo, che cosa c'entra la filosofia
con l'embriologia?
Adriano Pessina: La filosofia c'entra perché ci permette di
chiarire alcuni equivoci di fondo. Quando noi parliamo di embrione umano, rischiamo
di pensare che si tratti di una cosa. In realtà l'embrione è la
fase di sviluppo di una precisa persona, di un certo individuo. Oggi il dibattito
sull'embrione umano è impregnato di una serie di equivoci. L'embrione
umano, termine scientifico, corrisponde al termine di "figlio", che
appartiene però alla dimensione antropologica. Quando una donna va dal
medico, il medico non le dice "Signora, lei aspetta un embrione, una blastocisti
o una morula"; le dice: "Signora, lei aspetta un figlio". I cosiddetti
embrioni umani sono in realtà i nostri figli che, a motivo dello sviluppo
tecnologico non sono nel grembo materno, ma sono in una provetta. E qui nasce
il problema.
D: Quindi c'è il rischio di ridurre l'embrione umano a puro materiale
biologico ...
Adriano Pessina: Sì, c'è il rischio di utilizzare il
linguaggio per nascondere la realtà, perché, dal punto di vista
scientifico, è indubbiamente corretto parlare di embrione umano. Ma la
questione non è unicamente scientifica, si tratta anche di un problema
umano e morale. Bisogna domandarsi se è giusto - dal punto di vista morale
- che i nostri figli nascano, vengano controllati e selezionati in una provetta
prima di essere trasferiti in un grembo materno. Il problema introdotto dalle
nuove tecnologie è quello di una dislocazione spazio-temporale dell'origine.
I figli non nascono più nel grembo materno, ma nascono per opera della
scienza medica e biologica in un luogo in cui sono totalmente controllati.
D: Sono però convinto che la scienza stia agendo in buona fede,
cercando di capire e addirittura di aiutare l'uomo. La sua critica è
una condanna alla scienza?
Adriano Pessina: Non si può parlare di una condanna della scienza,
perché in realtà la scienza è un termine astratto; coloro
che operano concretamente sono degli uomini, degli scienziati. Per poter in
futuro guarire alcuni esseri umani, noi oggi sottoponiamo la vita nascente ad
una trasformazione radicale. La scienza, per sua natura, giustamente, vede ogni
sfida come un ostacolo da superare; la morale invece ritiene che ci siano degli
ostacoli da non superare, perché si infangano dei valori morali, che
poi sono ciò che serve all'uomo per essere pienamente uomo.
D: Mai come oggi abbiamo potuto vedere, grazie alle tecniche sempre
più sofisticate, lo sviluppo dell'embrione umano. Le gravidanze, almeno
nei nostri Paesi, sono seguite in ogni fase e tutti siamo coscienti di quanto
succede nel ventre materno fin dal principio. Ma è proprio in questo
momento storico che non riusciamo ad affermare un valore oggettivo alla vita
umana nascente. Non è paradossale?
Adriano Pessina: Io direi di fare un passo indietro, per vedere che
cosa avviene nella nostra cultura. Per un certo periodo dell'esistenza di una
copertine/coppia il figlio è visto come un "pericolo" e si cercano tutte
le tecniche per non avere dei figli. Poi giunge il momento in cui invece il
figlio diventa l'oggetto del desiderio e allora si vuole fare di tutto per avere
un figlio e si esige che questo figlio corrisponda ai propri progetti e desideri.
Su internet c'è un sito dove si vendono ovociti di modelle, in modo di
poter generare dei figli che, in teoria, siano belli e magari anche intelligenti.
Ebbene qui emerge una questione fondamentale che forse è anche facile
da impostare: è giusto pensare ai propri figli come a un prodotto che
serve a riempire la nostra solitudine, che serve a essere il luogo della proiezione
dei nostri desideri? La medicina fa delle ottime cose, ma a volte rischia di
diventare un puro strumento per realizzare dei desideri. La questione non riguarda
solo la vita umana, ma, in generale, la relazione fra gli uomini. In termini
semplici: è pericoloso quando un essere umano, a qualunque stadio del
suo sviluppo, diventa in qualche modo un oggetto del nostro desiderio. Si creano
nuove forme di schiavitù.
D: La Chiesa cattolica è rimasta sola a difendere la vita umana
dal concepimento alla morte. Però, mi sembra che lei affronti questo
dibattito in termini di ragionevolezza, di intelligenza umana, di sguardo sulla
realtà, non con motivi dottrinali o teologici.
Adriano Pessina: Credo che sia molto importante chiarire che esistono
delle prospettive differenti, anche se queste prospettive non sono divergenti.
Insegnando filosofia, io utilizzo gli strumenti che ognuno di noi possiede,
che fondamentalmente sono solo due: la ragione e l'esperienza. Io credo che
la fede e la religione cattolica dicano molto di più delle poche cose
che può dire la filosofia, perché la religione cattolica si incentra
sull'avvenimento dell'incarnazione di un Dio che addirittura si fa uomo, muore
in croce e risorge. La prospettiva cristiana è molto più ricca
e densa rispetto a quella filosofica, ma io credo che questa non supplisca e
non elimini la necessità di un dibattito filosofico: non sono due linee
alternative, ma sono due linee distinte. Credo che sia bene recuperare anche
delle "ragioni della ragione", oltre a quelle della fede, per difendere
il valore della persona umana e per difendere quell'insieme di relazioni che
permettono di comprendere meglio chi è un figlio, perché i figli
esistono nella misura in cui esistono dei padri e delle madri. Occorre recuperare
un significato morale alto e non solamente biologico: bisogna uscire dalla zootecnia
e dall'idea della pura riproduzione. Esiste un modo per fare i figli che biologicamente
è descrivibile come quello di tutti i mammiferi, ma il compito dell'uomo
e della donna è quello di essere di più di un semplice mammifero.
D: Le questioni fondamentali della nostra vita non vanno quindi lasciate
ai soli filosofi…
Adriano Pessina: Ognuno di noi è chiamato a un compito serio:
quello di ripensare le questioni importanti della vita, della nascita, della
morte, dentro il contesto tecnologico. La tecnologia migliora la nostra vita,
ma rischia di introdurre uno sguardo impersonale, meccanico nei confronti dei
fenomeni così decisivi come sono la nascita, la morte, la sofferenza
e il dolore. Dobbiamo quindi recuperare una nuova anima alla grande dilatazione
del corpo tecnologico. La tecnologia è un grande corpo che ci permette
di avanzare nella conoscenza, di estendere le immagini della nostra sicurezza,
e anche la lunghezza della nostra vita, ma ha bisogno di un'anima, perché
si dia significato a questo progresso.